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ABSTRACTS DELLE TESI DISCUSSE

 

 

Dario Bullitta (2014)

The apocryphal gospel of Nicodemus in medieval Iceland. A study of the manuscript tradition and sources of Niðrstigningar saga.

The most widely known writing among the New Testament Apocrypha in the Middle Ages was undoubtedly the so-called Evangelium Nicodemi 'The Gospel of Nicodemus'. Encouraged by renewed cultural contacts and by the increasing exchange of clerics within the Continental centers of learning and devotion – most notably those with Northern France and the University of Paris –, some exemplars of the Latin Evangelium Nicodemi were imported to Iceland during the second half of the 12th century. This thesis surveys the textual genesis and vicissitudes of Niðrstigningar saga 'The Story of the Descent', the Icelandic translation of the second section of the gospel known as the Descensus Christi ad inferos. The first section of the thesis examines the appearance and early circulation of the Latin Evangelium Nicodemi in the Carolingian scriptoria of the 9th and 10th centuries and its increasingly more substantial dissemination throughout Europe in the Middle Ages. Subsequently, the routes of transmission of the Latin text to Iceland during the last decades of the 12th century, and to continental Scandinavia during the 14th century, are outlined on the basis of textual and manuscript corroborative evidence. A more adequate Latin source-text underlying the Icelandic translation is re-established, and the foreign exegetical and biblical material employed by the Icelandic compiler to substantiate the original gospel is newly identified. It is argued that these texts were the Glossa ordinaria, Peter Lombard's Libri quattor sententiarum, and Peter Comestor's Historia scholastica, the exegetical achievement of some of the greatest exponents of the Paris School of Theology during the last quarter of the 12th century. On account of some textual references, the origin of the Icelandic translation is traced back to the efforts of the clerics working at the bishop see of Skálholt under the auspices of Páll Jónsson (d. 1211) during the first decade of 13th century, roughly a century after the only other suggested date of composition. In the second section of the thesis, an edition of the two redactions of Niðrstigningar saga is presented along with that of the underlying Latin source-text.

 

 

Nicholas Mozzato (2013)

Il Barlaam und Josaphat di Rudolf von Ems nel manoscritto Ludwig XV, 9. Introduzione, analisi e commento.

La leggenda dei santi Barlaam e Josaphat trae le proprie origini nell'antica India; da qui si diffuse nel corso dei secoli prima in Medio Oriente e quindi in Grecia, nella penisola italica e nel resto d'Europa: numerose sono infatti le redazioni che di essa ci sono pervenute. Tra le versioni in altotedesco medio, di particolare rilevanza è il componimento Baarlam und Josaphat di Rudolf von Ems, ministeriale alla corte degli Hohenstaufen, tràdito in 47 testimoni; uno di questi è contenuto nel  manoscritto Ludwig XV, 9, scoperto in epoca relativamente recente e conservato presso il J. P. Getty Museum di Malibu (Los Angeles). La produzione di questo testimone, datato 1469, è da iscriversi alla cerchia dei collaboratori di Diebold Lauber, figura celebre per il vasto numero di manoscritti prodotti presso la propria bottega in Alsazia. Dei 47 testimoni della leggenda, il Ludwig XV, 9 è l’unico ad essere illustrato: in esso sono infatti contenute 138 immagini, raffiguranti sia scene tratte dalla leggenda stessa, sia scene estrapolate dalla Bibbia. Il lavoro propone anzitutto un'attenta analisi del manoscritto: dopo aver contestualizzato la diffusione della leggenda dei due santi, vengono messi in evidenza gli aspetti codicologici e paleografici del codice, come il tipo di fascicolazione, la rilegatura, i materiali impiegati, le caratteristiche dello specchio di scrittura e della numerazione dei fogli, il tipo di scrittura, l'ortografia, l'uso della punteggiatura, le abbreviazioni e le correzioni del copista. Il lavoro prosegue quindi focalizzando l'attenzione su luogo di produzione, la bottega di Diebold Lauber: oltre alle caratteristiche di questo atelier per quanto attiene al processo di produzione dei manoscritti, vengono presentate e discusse le testimonianze pervenuteci sulla figura di Lauber. Altro tema importante per l'analisi del manoscritto è quello relativo ai committenti del codice, ossia la famiglia dei Falkenstein. L'ultima parte del lavoro offre un’indagine sulle immagini contenute nel manoscritto: oltre a un inventario delle illustrazioni, viene effettuata un'accurata descrizione dei tratti e dei motivi pittorici in esso presenti, cui si accompagnano alcune considerazioni sulla composizione e la struttura artistica delle immagini. All'analisi delle illustrazioni segue un'indagine sulle interrelazioni fra testo e immagine nel codice, al fine di verificare il grado di (in)dipendenza dell'immagine dalla parola. Lo studio si completa con un'appendice in cui è riportata la trascrizione dell'intero manoscritto.

 

 

Angelo Nichilo (2013)

Il lessico della sofferenza nel Büchli der ewigen wîsheit di Heinrich Seuse.

Daz büchli der ewigen wîsheit è un'opera incentrata sulla Passione di Cristo e sul suo rapporto con la sofferenza umana, redatta intorno al 1330 da Heinrich Seuse, domenicano tedesco e allievo di Meister Eckhart. Essa si inserisce a pieno titolo nella letteratura mistica medievale, le cui origini sono legate all'esperienza religiosa delle beghine, caratterizzandosi in modo specifico come esempio di Passionsmystik. Dal punto di vista linguistico tale connotazione si traduce nel frequente ricorso da parte dell'autore a un lessico della sofferenza, che costituisce l'oggetto di indagine della trattazione. In particolare la tesi propone un'analisi semasiologica di tutti i lessemi attinenti alla sfera semantica della sofferenza che compaiono nell'opera in questione. Scopo del lavoro è dimostrare come, a partire dagli elementi peculiari della dottrina spirituale di Seuse, sia possibile individuare l'originalità del suo contributo all'arricchimento del patrimonio lessicale della lingua tedesca. La tesi è suddivisa in quattro parti principali. Nella prima si fornisce un quadro generale relativo alla nascita e allo sviluppo di una letteratura di ispirazione mistica soprattutto in area renano-fiamminga, con particolare attenzione agli esponenti della mistica domenicana e in primo luogo a Seuse. Nella seconda parte ci si concentra sulla struttura e sul contenuto del Büchli der ewigen wîsheit. La terza è dedicata alla presentazione dell'ampia tradizione manoscritta dell'opera. L'ultima parte è quella che, dopo la discussione degli studi sinora effettuati sul lessico adoperato da Seuse nei suoi scritti, contiene l'analisi dei singoli lessemi individuati per l'indagine: per ciascuno di essi vengono indicate le occorrenze, l'etimologia, il valore semantico, la concreta realizzazione del termine all'interno del contesto, le funzioni semantiche e i rapporti sintagmatici che esso stabilisce rispetto agli altri elementi della frase.

 

 

Jlenia D'Andrea (2012)

Funzionalità, specificità semantiche e morfo-sintattiche dei verba rogandi e dei verba respondendi nel Diatessaron altotedesco antico.

Il lavoro è suddiviso in due parti: la prima è dedicata all'illustrazione del codice Sankt Gallen, Stiftsbibliothek 56 (G) e ai problemi relativi alla traduzione altotedesca, mentre la seconda contiene l'analisi dei verba rogandi e dei verba respondendi presenti nel testo. Nella prima parte viene illustrata la genesi del Diatessaron in siriaco e la sua diffusione in Occidente, dove il testo originale fu contaminato dal contatto con i testi della Vulgata. Nemmeno la traduzione altotedesca appare esente da questa contaminazione, che si ripercuote sui problemi inerenti alla storia e alla tradizione del testo (la complessa attribuzione del lavoro di traduzione a più autori, l'intervento dei copisti nella trascrizione del codice, la questione del modello latino utilizzato per la traduzione). All'interno del codice sono state individuate diverse sezioni traduttive e sette mani scribali, ma non c'è identificazione fra copisti e traduttori. La traduzione, infatti, non sarebbe avvenuta per la prima volta all'interno del codice G, e il testo latino presente in G non rappresenta il modello utilizzato per la traduzione. Sulla base di queste premesse si sviluppa l'indagine proposta nella seconda parte del lavoro: l'analisi semantica, morfologica e sintattica dei verba rogandi (fragen, eiscon, bitten, suohhen) e respondendi (antwurten, antlingen). I verbi vengono considerati sia in relazione al contesto in cui ricorrono che nel loro rapporto con i lemmi latini corrispondenti. Nei confronti di questi ultimi, infatti, la traduzione si comporta in maniera differente: di fronte ad uno stesso verbo latino, la scelta dell'interpretamentum altotedesco non è sempre la stessa. Gli stessi verbi vengono considerati anche all'interno delle diverse sezioni attribuite ai diversi copisti, in modo da dimostrare in che misura i traduttori sono responsabili delle scelte lessicali: nelle sezioni di testo attribuite a uno stesso copista emergono peculiarità fonologiche e sintattiche coincidenti, ma non si registra uniformità lessicale. Di conseguenza, le diverse scelte lessicali in volgare tedesco per uno stesso lemma latino sarebbero riconducibili ai traduttori. Il lavoro si completa con un'appendice, anch'essa suddivisa in due parti: nella prima parte sono elencate tutte le occorrenze, suddivise in base alla corrispondenza fra verbi tedeschi e verbi latini, seguendo la loro distribuzione nel testo; nella seconda parte le occorrenze vengono riproposte in base all'ordine sintattico dei costituenti delle frasi in cui tali verbi compaiono.

 

 

Francesco Sangriso (2012)

Parole del mito e linguaggio della storia. Frammenti di un vocabolario istituzionale nella Heimskringla di Snorri Sturluson.

La Heimskringla rappresenta indubbiamente uno dei principali testimoni culturali del mondo scandinavo del XIII secolo ed è opera che sfugge a qualsiasi tentativo di classificazione secondo i moderni criteri ermeneutici. In essa infatti si intrecciano, spesso in modo inestricabile, verità storica e finzione, fedele relazione dei fatti ed elaborazione letteraria, meticoloso riguardo nella scelta delle fonti e ricezione di elementi leggendari che affondano le loro radici nella tradizione popolare. Tuttavia la Heimskringla ha anche una struttura ed una partizione interna estremamente definite, funzionali allo scopo del testo, vale a dire la narrazione delle vicende dei sovrani di Norvegia fin dalle origini, queste ultime collocate nella dimensione metastorica del mito. La questione della regalità è dunque il fulcro intorno al quale si costruisce la narrazione. In questo senso, scopo della dissertazione è l'esame delle diverse modalità con cui l'autore delinea l'evoluzione della sovranità norvegese. Nella trattazione si è innanzitutto analizzata la figura di Snorri Sturluson sotto il profilo biografico; successivamente è stata discussa la metodologia d'indagine elaborata dallo stesso Snorri, operando un confronto con altre opere di carattere storiografico, di matrice soprattutto norvegese. L'analisi di merito ha riguardato un insieme di elementi linguistici ritenuti particolarmente rilevanti, in quanto caratterizzanti gli elementi strutturali del concetto di sovranità, ovverosia attinenti alle manifestazioni concrete del suo esercizio. Elemento comune è il riferimento alla dialettica fra il potere sovrano e le strutture comunitarie preesistenti ad esso, le cui istanze trovano referenti linguistici in qualche modo speculari a quelli con cui il testo definisce le prerogative del regnante. In particolare si è cercato di chiarire se dall'esame compiuto possano trarsi elementi per un'interpretazione unitaria dell'opera di Snorri e se in essa si possano rinvenire criteri generali di valutazione che evidenzino la presenza di una vera e propria analisi delle cause degli eventi narrati. In questo senso si è rilevato come Snorri, senza esprimere alcun giudizio di merito, fissa principi interpretativi che sono anche il riconoscimento di precise leggi che governano il corso delle vicende delle linee evolutive della sovranità norvegese.

 

 

Bruno Villani (2012)

La figura di Baldr. Analisi delle fonti.

Il mito di Baldr, divinità dell'antica mitologia nordica, è conosciuto in diverse fonti, provenienti principalmente dall'Islanda ma anche da altre regioni europee, le quali narrano il mito in modo notevolmente diverso l'una dall'altra; perciò è necessario postulare diverse varianti del mito. Il problema è, principalmente, cercare di stabilire quale possa essere la variante più antica e più vicina al mito originario. Tale variante è da ricercare verosimilmente nelle fonti poetiche norrene, soprattutto nei carmi Vǫluspá e Baldrs draumar; in questa variante sembra infatti attestata una forma più arcaica del mito, che vede la presenza di un vendicatore generato da Odino, cioè Váli, e di una triade costituita da vittima, assassino e vendicatore. Questa stessa struttura triadica è rispecchiata anche nella variante dei Gesta Danorum di Saxo Grammaticus. Ciò che fa propendere per una base antica della variante rispecchiata nei carmi eddici è una breve annotazione in cui si dice che il vendicatore non si lava le mani e non si pettina i capelli fino al momento della vendetta; questo rilievo rinvia ad un'usanza simile storicamente documentata, già in Tacito, presso alcune popolazioni germaniche antiche. Gli studi etnografici di Propp hanno dimostrato che la pratica di non lavarsi e non tagliarsi i capelli è associata in molte culture antiche al rito di iniziazione, per cui è ipotizzabile che nel mito di Baldr ci sia stato un qualche influsso del rito di iniziazione. D'altra parte anche molti autorevoli esponenti della critica più recente tendono a vedere nella variante poetica norrena del mito di Baldr un rito odinico. Nella variante della Gylfaginning di Snorri è da ravvisare invece o una rielaborazione personale originale da parte dell'autore o una giustapposizione di motivi che potrebbe essere avvenuta già prima di Snorri; non è da escludere, infatti, che potessero esistere anche due varianti del mito parallele. Molte altre varianti secondarie non sono riferibili con certezza al mito di Baldr, ma per la seconda Formula magica di Merseburgo si è ipotizzata una variante continentale, specificamente tedesca, di questo mito.

 

 

Angela A. Iuliano (2012)

I prologhi della Erikskrönikan. Con edizione critica della 'Yngsta Inledningen' e analisi linguistica dei testi.

La tesi ha come oggetto lo studio della Erikskrönikan, cronaca svedese risalente al XIV secolo, e in particolare l'analisi del prologo dell'opera, che ha subito modifiche notevoli nelle diverse riedizioni e rielaborazioni eseguite attraverso i secoli. Scopo principale della ricerca è mettere in evidenza le caratteristiche e le modalità di tali cambiamenti, in particolar modo di quelli che compaiono nelle versioni più recenti della cronaca, presenti nei codici Q (Linc H 130), R (Sko 46), S (Holm D7) e nel frammento Qa (Irhe 116), che mostrano modifiche sostanziali rispetto alle altre versioni, quali l'uso della forma monologica e la narrazione in prima persona. La ricerca effettuata chiarisce i motivi storici e sociali che hanno determinato tali mutamenti e analizza le variazioni linguistiche presenti nelle stesure più recenti, così da rendere conto dell'evoluzione nella lingua scritta, il klassisk fornsvenska, attraverso l'esame diacronico dei testi manoscritti. Viene pertanto affrontato lo studio del prologo dell'opera, del quale esistono tre versioni, condotto attraverso l'esame autoptico delle fonti manoscritte conservate a Stoccolma, presso la Kungliga Biblioteket e il Riksarkivet, a Uppsala, presso la biblioteca universitaria Carolina Rediviva, a Linköping presso la Stifts- och Landsbiblioteket e presso la biblioteca universitaria di Lund. Delle tre versioni dei prologhi, quella originaria (la seconda), nota come 'Nya Början' o 'Yngre Inledningen', e la terza, la cosiddetta 'Yngsta Inledningen', sono fornite di traduzioni di orientamento; della Yngsta Inledningen è inoltre presentata un'edizione critica sinottica, sulla base dei quattro testimoni nei quali essa è tramandata.

 

 

Mariacristina Guarino (2011)

La letteratura tedesca ludico-parenetica: Das guldin spil di Meister Ingold.

Das guldin spil è il titolo di un'opera di carattere didattico-moralizzante, dedicata al rapporto fra gioco e peccati capitali, che il frate domenicano tedesco Meister Ingold scrisse nella prima metà del Quattrocento. L'indagine inizia con la ricostruzione della vita dell'autore e della produzione predicatoria a lui attribuita, per poi concentrarsi sull'opera principale Das guldin spil e, in particolare, sulla parte dedicata al gioco degli scacchi, la più ampia e articolata dell'opera. Di questa parte viene presentata una traduzione in italiano, vengono approfonditi gli aspetti strutturali e viene indagato il rapporto con le rielaborazioni tedesche, in prosa e in versi, del trattato predicatorio sul gioco degli scacchi Liber de moribus hominum et officiis nobilium ac popularium super ludo scachorum del frate domenicano Iacopo da Cessole. L'analisi del rapporto con questo gruppo di testi (Schachzabelbücher) – già esaminato in parte da Edward Schröder, finora l'unico editore dell'intero testo di Das guldin spil – conduce a formulare l'ipotesi che Meister Ingold possa essersi servito, oltre che della rielaborazione poetica di Konrad von Ammenhausen, anche di una delle due rielaborazioni in prosa. Il lavoro prende quindi in esame la tradizione testuale dell'opera, di cui ci sono pervenuti sette testimoni redatti nell'area del tedesco superiore occidentale. Uno di essi, il codice mgo 482, risulta essere inedito in quanto sconosciuto a Edward Schröder al momento in cui questi effettuò l'edizione di Das guldin spil. Di questo manoscritto vengono ricostruite le vicende storiche e viene presentato un saggio di edizione relativo ai primi due capitoli della parte dedicata al gioco degli scacchi (Das erst ist Schaffzawelspil e Von dem Küng im Schach). L'indagine prosegue con l'analisi degli aspetti linguistici più significativi, emersi durante la collazione dei testimoni, che riguardano soprattutto le divergenze nella resa grafica, e quindi presumibilmente nella realizzazione, di alcuni fonemi vocalici in sillaba tonica, differenze che in alcuni casi si presentano anche all'interno di uno stesso testimone e di cui si sono volute indagare le possibili motivazioni. Il lavoro si conclude con alcune considerazioni sui possibili filoni d'indagine da seguire per future ricerche intorno a Das guldin spil.

 

 

Cristina Raffaghello (2011)

L'Enchiridion di Byrhtferð di Ramsey e i calendari di area anglosassone tra scienza e Credo cristiano.

Il lavoro si divide in due parti. La prima riguarda l'analisi del contenuto e delle numerose fonti utilizzate nell'opera del monaco anglosassone Byrhtferð, allo scopo di evidenziare come gli innegabili influssi della cultura latina si siano amalgamati con la tradizione insulare. È stato poi preso in esame il codice che ci tramanda l'Enchiridion per intero, il manoscritto Ashmole 328 (Bodleian Library, Oxford; metà dell'XI secolo), in particolare per quanto riguarda il rapporto tra testo e immagini. Ampio spazio è stato dedicato all'analisi linguistica (fonologia, morfologia, sintassi e lessico), nonché ad alcune varianti dialettali (angliche e kentiche) presenti nell'opera di Byrhtferð, redatta essenzialmente in sassone occidentale (cui si alternano parti scritte in latino). Sono stati inoltre esaminati i termini greci, latini ed ebraici contenuti nelle sezioni in volgare dell'Enchiridion, con particolare riguardo alle integrazioni morfologiche tra termini anglosassoni e latini. La seconda parte è dedicata alla traduzione e all'esame del contenuto dei testi anonimi sul computo del tempo pervenutici nei manoscritti Corpus Christi College 422 (Cambridge), Cotton Caligula A XV, Cotton Tiberius A III, Cotton Vitellius E XVIII, Cotton Titus D XXVII e Harley 3271 (British Library, Londra) e Laud. Misc. 482 (Bodleian Library, Oxford), quasi tutti databili alla seconda metà dell'XI secolo, al fine di mettere in evidenza come l'Enchiridion abbia potuto influire sulla redazione di questi testi. Dall'indagine è emerso il notevole contributo dato da Byrhtferð alla divulgazione della cultura scientifica in area anglosassone rispetto agli anonimi autori di questi trattati, che espongono i medesimi argomenti in modo assai più sintetico ed essenziale. Completa il lavoro un'appendice sulle conoscenze scientifiche in epoca tardo-antica e medievale riguardo all'anno bisestile, al ciclo diciannovennale, al saltus lunae e al calcolo delle feste religiose mobili quali la Pasqua, le Rogazioni, la Pentecoste e le Quattro Tempora.

 

 

Daniele Cazzaro (2010)

Popoli e luoghi del Beowulf. Analisi linguistica e storica di tutti gli etnonimi e toponimi del poema.

Scopo del lavoro è l'analisi linguistica, semantica e storica del patrimonio di etnonimi e di toponimi del Beowulf, dei quali la dissertazione si propone come raccolta completa ed esaustiva. Lo studio dà grande spazio alla parte storica, tenendo distinti i vari punti d'indagine: esamina in modo sistematico la lingua, la storia, l'uso poetico dei nomi nel linguaggio del Beowulf e, soprattutto, ricolloca ogni nome nel suo contesto, nei versi in cui esso appare. Gli etnonimi vengono analizzati nella prima parte del lavoro, i toponimi nella seconda. Di ogni nome di popolo, stirpe o luogo, riportato al nominativo, si indicano il tipo di declinazione, la classe tematica, le varie forme della flessione e tutte le varianti grafiche. Vengono inoltre citati i passi in cui compaiono le forme in esame, permettendo così di cogliere i rapporti morfosintattici e semantici dei nomi nel verso. Si riportano poi capillarmente le attestazioni dei singoli etnonimi o toponimi al di fuori del Beowulf, in fonti storiche e letterarie della tradizione anglosassone e di altre tradizioni tardoantiche o altomedievali. Le ipotesi critiche sull'identificazione dei nomi nella storia, su rispondenze o possibili divergenze tra la realtà storica e quanto attestato nella tradizione poetica o nella leggenda, vengono discusse ampiamente. Una trattazione linguistica ed etimologica, a spiegazione degli esiti anglosassoni dei nomi, segue in fondo a ogni scheda su popoli e luoghi. L'analisi costante e apparentemente arida delle scelte allitterative, in cui ogni nome si trova nel contesto dei versi, consente poi di evidenziare in alcuni casi l'uso poetico e di formulare ipotesi sui sensi riposti degli abbinamenti e dei contrasti creati dalle allitterazioni. In appendice alla tesi sono riuniti l'elenco dei temi presenti alla base dei nomi e gli alberi genealogici delle varie stirpi. L'esame di questi nomi mette a fuoco la ricchezza onomastica del poema anglosassone, in cui la vita del protagonista interseca la storia di re e popoli scandinavi ed extra-scandinavi dell'età eroica. Sono proprio le vicende di questa storia, reale e leggendaria a un tempo, che qui si indagano e approfondiscono attraverso la lente particolare degli etnonimi e dei toponimi presenti nel poema.

 

 

Omar H. A. Khalaf (2010)

Alessandro e Dindimo (Oxford, Bodleian Library, ms. 264). Edizione e commento.

La tesi propone lo studio e l'edizione critica del poema medio-inglese noto come Alessandro e Dindimo (Alexander and Dindimus), primo testimone del 'revival allitterativo' in auge nell'Inghilterra del XIII e XIV secolo. Pervenuto in codex unicus, il poema è conservato all'interno del manoscritto Bodley 264 (Oxford), un'antologia di testi alessandrini in lingua francese. Il fine dichiarato dallo stesso interpolatore inglese è quello di supplire alla mancanza, nella silloge, dello scambio epistolare tra Alessandro e Dindimo, oggetto del poema. Particolarmente interessanti sono le caratteristiche codicologiche e linguistiche del testimone, che rivelano aspetti importanti della sua trasmissione testuale. Questi aspetti sono stati scarsamente studiati dai precedenti editori, il cui approccio al testo segue l'impostazione ricostruttiva tradizionale. Ampio spazio dell'introduzione è quindi dedicato all'indagine sulle stratificazioni linguistiche che caratterizzano il testo dal punto di vista diacronico, mentre particolare attenzione è dedicata alle immagini e alla relazione che si instaura tra i due filoni narrativi sviluppati da quest'ultime e dal testo scritto. L'edizione, di tipo semidiplomatico, non mira alla restitutio textus tradizionale – poco efficace in testi pervenuti in codex unicus come l'Alessandro e Dindimo – ma nasce con l'obiettivo di mettere in evidenza, anche dal punto di vista visivo, tutte le componenti semantiche che caratterizzano questo testimone del poema, alla luce dell'analisi effettuata nella parte introduttiva. Nell'edizione sono quindi mantenute tutte le principali caratteristiche codicologiche del testo, dalla mise en page all'apparato iconografico, con l'obiettivo di riproporre al lettore moderno il sistema di significati proprio del testo nel veicolo codicologico in cui esso ci è pervenuto.

 

 

Chiara Baldini (2009)

I testi mantici del Codex Germanicus Monacensis 270 della Bayerische Staatsbibliothek. Tracce di una silloge polivalente in un manoscritto a dominante letteraria.

Il lavoro prende in esame il Codex Germanicus Monacensis 270 della Bayerische Staatsbibliothek in quanto caso peculiare nella tradizione di alcuni scritti oniromantici, un Würfelbuch, un Buchstabenorakel e un Traumbuch Daniels, dal momento che le indagini svolte preliminarmente sui contesti di trasmissione usuali alle tipologie testuali in oggetto evidenziavano l'eccezionalità della collocazione delle stesse in un ambiente letterario, come si verifica nel manoscritto considerato. L'indagine materiale del manufatto ha messo in luce come le pesanti alterazioni subite dal Cgm 270 fossero finalizzate ad un riassetto complessivo del codice e in particolare della prima unità codicologica, in cui sono contenuti i testi predittivi. A partire dalla descrizione dello stato attuale del manoscritto (Capitoli I e III) si è proposta una ricostruzione parziale della fisionomia originaria di quest'ultimo, basata in buona misura sul confronto con la tradizione coeva al Cgm 270. La considerazione complessiva dei dati emersi ha condotto a un duplice risultato: da un lato è stato possibile cogliere il rapporto funzionale tra il complesso mantico con un testo di interesse sanitario, le Monatsregeln, mentre dall'altro si è potuto stabilire la primitiva vicinanza della prima unità codicologica ad una tipologia di sillogi diffusa, per la quale sono stati individuati molteplici termini di confronto (Capitolo IV). La ricerca prosopografica sul committente della prima unità codicologica, Wilhelm von Zell, ha consentito di situare la produzione del manoscritto e le più antiche vicende a cui esso andò incontro nel clima culturale della città di Augsburg fra la seconda metà del XV e i primi decenni del XVI secolo, in un momento di forte convergenza fra gli interessi intellettuali di Massimiliano I e quelli delle élites augustane (Capitolo II).

 

 

RosaMaria Bellavia (2009)

Ipotesi per l'individuazione di un lessico poetico ingevone: analisi dei composti nominali nella tradizione anglosassone e sassone antica.

L'indagine, volta ad individuare l'esistenza di un lessico poetico esclusivo delle lingue ingèvoni (denominazione storica alcune lingue germaniche attestate fin dall'antichità intorno al Mare del Nord), verte sulla ricerca di composti nominali (sostantivali e aggettivali) che trovano esatta corrispondenza in anglosassone e sassone antico. Lo spoglio dei due corpora ha portato all'individuazione di 117 composti esclusivi. Al fine di fornire un quadro chiaro delle singole occorrenze e di consentire un'agevole valutazione della posizione metrica che i composti hanno all'interno del verso, è stata elaborata una tabella delle corrispondenze dei composti sostantivali e aggettivali in cui sono riportati i significati, le opere in cui i composti sono attestati e i versi in cui essi compaiono. Per ogni composto viene fornito un commento corredato dall'analisi linguistica dei singoli costituenti e dall'esame del contesto metrico e stilistico dei versi in cui il composto ricorre, al fine di evidenziare le sfumature semantiche che esso assume di volta in volta. Al patrimonio formulare condiviso è dedicato un intero capitolo, in cui si sottolinea la vicinanza tra le due lingue e culture ingevoni.

 

 

Elisa Mastromatteo (2009)

On Esterne day in þe dawing – La 'Resurrezione'. Componimento medio-inglese in versi del XIV secolo (manoscritto Dd. 1.1, Cambridge University Library). Edizione, traduzione, analisi linguistica e commento tematico-stilistico.

La dissertazione consiste in una riedizione, corredata di analisi linguistica, traduzione italiana e commento tematico-stilistico, del breve componimento poetico (268 versi) in lingua medio-inglese sulla Resurrezione, anonimo e privo di titolo, contenuto nel manoscritto Dd. 1.1 della Cambridge University Library (ff. 30r-32v) e avente come primo verso quello adottato nel presente lavoro per identificarlo: 'On Esterne day in þe dawing'. Il progetto di riedizione nasce dall'intento di ampliare e in parte emendare il lavoro che per primo svolse sul testo O. S. Pickering in un breve saggio dal titolo "An Unpublished Middle English Resurrection Poem", apparso sulla rivista Neuphilologische Mitteilungen (n. 74, 1973, pp. 269-282), per alcuni aspetti superficiale e impreciso. La tesi affronta in apertura, attraverso un'analisi paleografica, le problematiche di composizione e di datazione, in primo luogo del manoscritto, in secondo luogo, e più approfonditamente, del testo in esame, come introduzione all'edizione. Quest'ultima segue attraverso la presentazione sinottica da una parte del facsimile del manoscritto e dell'edizione diplomatica, dall'altra dell'edizione critica e della traduzione (la prima in italiano) del componimento. L'analisi linguistica (ortografica, fonologica, morfologica, sintattica) si incentra sul solo testo oggetto d'indagine, nel tentativo di individuare delle caratteristiche che aiutino a circoscrivere sia geograficamente che temporalmente la sua composizione. Conclude l'indagine un'analisi delle tematiche, dello stile e della struttura dell'opera, intesa a far luce sulla paternità e sulle fonti della stessa, nonché a mostrare il valore letterario di un testo forse troppo a lungo ignorato. Completa il lavoro un glossario, funzionale sia all'analisi linguistica che alla traduzione.

 

 

Andrea Meregalli (2009)

Le traduzioni tedesche della Historia trium regum di Giovanni da Hildesheim, con uno studio critico-testuale della versione VL b.

Il lavoro si compone di due parti. La prima è dedicata a una presentazione complessiva della tradizione della Historia trium regum in lingua tedesca. I sessanta manoscritti e nove incunaboli attualmente noti sono raggruppati in undici volgarizzamenti indipendenti (numerati da 1 a 11), di cui si riportano incipit ed explicit, oltre a una sintesi dei dati evidenziati dallo stato delle ricerche. La seconda parte del lavoro è dedicata a un approfondimento della versione in tedesco superiore segnalata nel Verfasserlexikon come 'b' (qui: '2'), conservata in quindici manoscritti. Dopo una breve presentazione dei testimoni, si illustrano i risultati della collazione, esemplificata in brani significativi, con una proposta di stemma codicum. Si mettono così in evidenza l'instabilità del testo e i rapporti con il contesto codicologico, oltre che con l'originale latino. Casi particolari sono costituiti dalle rielaborazioni con altre opere, tramandate in alcuni incunaboli (versione '1/2') e nelle edizioni a stampa del leggendario Der Heiligen Leben (versione '2HL'). Le riflessioni conclusive sono dedicate alla valutazione di possibili soluzioni per una futura edizione, per la quale questo lavoro intende offrire un contributo preliminare.

 

 

Nicola Zocco (2009)

Prosodia e sintassi del verbo di forma finita nella poesia anglosassone.

Il lavoro mira ad una verifica di teorie linguistiche e metriche sulla sintassi dei verbi di forma finita nell'inglese antico tramite riscontri statistici condotti su un corpus rappresentativo di testi poetici anglosassoni. Lo sviluppo degli argomenti trattati nei quattro capitoli di cui si compone la tesi, si propone anzitutto di chiarire il quadro teorico, le posizioni critiche e le metodologie di lavoro adottati; a tal fine, si stabilisce e si motiva il tipo di analisi metrica condotta sulla base dei capisaldi teorici esposti nelle note pubblicazioni di Eduard Sievers (come "Zur Rhythmik des germanischen Alliterationsverses I-II" (1885)) e si giustificano le distanze prese da assunti teorici considerati obsoleti ed inadeguati secondo i più moderni studi linguistici e metrici, come per esempio le 'leggi' teorizzate da Kuhn in "Wortstellung und -betonung im Altgermanischen" (1933) e gli impianti teorici sul metro da esse derivate come quello di Bliss in The Metre of Beowulf (1967). Per quanto riguarda gli strumenti tecnici per l'analisi statistica, si espongono a grandi linee le caratteristiche dell'analisi multivariata e lo strumento informatico utilizzato, VARBRUL (cfr. John C. Paolillo, Analyzing Linguistic Variation. Statistical Model and Methods, Stanford, CA, 2002). Dallo studio emerge un quadro linguistico sorprendentemente anomalo sotto certi aspetti, come per esempio la assai minore regolarità metrica di alcuni generi poetici rispetto ad altri, ovvero l'omogeneità nei processi di creazione sintattica o metrica, come ad esempio la correlazione di strutture metriche con strutture sintattiche considerate 'derivate', che operano, cioè, sul piano sintagmatico e non paradigmatico; o, infine, l'assenza della necessità di considerare alcuni elementi in certe posizioni metriche come atoni poiché appartenenti a certe classi lessicali tipicamente atone, a favore di una maggiore facilità nell'interpretazione del senso della frase (vale a dire, una maggior facilità nell'individuazione della subordinazione). In ultima analisi, il lavoro assume un valore sperimentale nell'applicazione di piani di studio diversi ed intrecciati, in uno spirito interdisciplinare che si ritiene utile nel risolvere questioni da sempre spinose quali, appunto, i verbi di forma finita dell'antico inglese.

 

 

Edoardo Stolcis (2008)

Autore, autorità e pubblico nelle letterature germaniche medievali. Analisi comparativa della Dietrichs Flucht, della Rabenschlacht e della Þiðreks saga.

Il lavoro si suddivide in due parti. Nella prima si analizzano le tre opere per mettere in luce la modalità di ricezione di ciascuna di esse, con l'obiettivo di stabilire se siano state concepite e redatte dagli autori per un pubblico di lettori o se invece siano state pensate per essere lette ad alta voce da un lettore davanti a un pubblico di ascoltatori. Nella seconda parte si indaga invece sul ruolo che gli autori delle tre opere, nel corso della narrazione, riconoscono a se stessi riguardo alla genesi, alla redazione e alla trasmissione dei loro scritti. La dissertazione è corredata di numerose tabelle che raccolgono tutti i dati linguistici significativi ai fini dell'analisi, ricavati dall'intera tradizione manoscritta delle tre opere in questione. Si tratta principalmente di interventi autoriali, cioè di elementi lessicali inseriti dagli autori con lo scopo di riassumere quanto raccontato, introdurre una nuova sequenza narrativa, richiamare l'attenzione del lettore/ascoltatore su un punto particolarmente importante del racconto o per esprimere un commento personale sulle vicende narrate: interventi molto importanti ai fini dell'indagine, poiché spesso contengono espressioni di 'vocalità' o di 'ascolto' (che implicano, cioè, la lettura ad alta voce da parte di un declamatore) o rivendicazioni, dirette o indirette, di paternità dell'opera. L'approccio adottato nella dissertazione è di tipo comparativo, nel senso che sono state messe in evidenza le affinità e le divergenze fra i due poemi epici altotedeschi medi (Dietrichs Flucht e Rabenschlacht) e la norrena Þiðreks saga attraverso il commento e il confronto sistematico dei dati raccolti.

 

 

Giuseppe D. De Bonis (2007)

L'ipotassi nelle Omelie Blickling, MS Blickling, Princeton Univ. Library, W. H. Scheide Coll. 71. Descrizione e analisi delle prime sette omelie, ff. 1r-58v.

La dissertazione propone l'analisi dell'ipotassi delle prime sette omelie della raccolta Blickling (diciotto in tutto), a partire da un completo riesame del manoscritto che le tramanda e dalla descrizione della loro posizione nella tradizione omiletica anglosassone. Le subordinate individuate nel testo sono state suddivise per tipologia (quindici tipi di frasi) e distinte in tre gruppi (frasi avverbiali, sostantive e relative), secondo un modello di analisi creato ad hoc che si avvale sia di teorie sintattiche tradizionali che di teorie sintattiche che si rifanno alla grammatica neo-generativa trasformazionale. La suddivisione tipologica delle frasi ha portato al riconoscimento dell'autonomia semantica di alcune subordinate rispetto ad altre di significato affine alle quali erano state assimilate in altri studi sulla sintassi dell'inglese antico (ad esempio finali e consecutive), ha rivelato che alcune subordinate possono precedere, seguire o essere collocate all'interno della loro reggente, mentre altre sono poste sempre dopo di essa (soggettive e oggettive), ha messo in evidenza una sorta di gerarchia tra le subordinate stesse, ed ha anche rivelato come l'ordine degli elementi della frase vari a seconda del tipo di subordinata e del livello di subordinazione da essa occupato. Grazie al modello di analisi utilizzato è stato possibile combinare lo studio delle strutture sintattiche con quello dell'aspetto grafico del testo manoscritto, scoprendo che i segni di interpunzione manoscritti, oltre che segnalare pause e variazioni d'intonazione nella lettura, rivestono anche un'importante funzione sintattica, sì che la loro mancata osservanza da parte dei moderni editori può talora produrre un'interpretazione del testo sensibilmente diversa da quella rispondente alle intenzioni dell'estensore. È stato dimostrato, infatti, che in varie occasioni i puncti manoscritti, le maiuscole, le minuscole sovradimensionate e le iniziali poste oltre lo specchio di scrittura segnalano nessi di subordinazione e confini sintattici tra frasi complesse diversi da quelli stabiliti dagli editori (R. Kelly e R. Morris) mediante la punteggiatura moderna. La dissertazione si conclude con un'appendice costituita dall'elenco completo delle frasi analizzate, accompagnate dalla descrizione della loro struttura sintattica, da una traduzione in italiano e dalla notazione dei puncti manoscritti.

 

 

Teresa Proto (2007)

I canti dei flagellanti tedeschi del 1349. Introduzione, edizione e commento.

La dissertazione ha per oggetto l'edizione critica dei canti dei flagellanti tedeschi (Geißlerlieder) del 1349 e si articola in tre parti. Nella sezione introduttiva sono esaminate le caratteristiche intrinseche (nascita, propagazione, sviluppo) ed estrinseche (organizzazione interna, usi, cerimoniale) del movimento dei flagellanti in area tedesca, con particolare riguardo agli anni della Peste Nera. Nella parte centrale viene tracciato un quadro della tradizione manoscritta dei canti, il cui destino, in assenza di una trasmissione indipendente, si è legato a quello delle numerose fonti cronachistiche, latine e tedesche, che li conservano in forma più o meno frammentaria. A queste fonti è dedicato un ampio capitolo di approfondimento, propedeutico alla sezione finale nella quale si sviluppa il lavoro editoriale vero e proprio, condotto seguendo il principio del manoscritto guida. L'analisi critico-testuale si articola, a sua volta, in una parte introduttiva, incentrata sull'organizzazione e l'analisi dei testimoni utilizzati, e in una propriamente editoriale, con la restitutio dei testi (quattro canti e due frammenti), accompagnata dai relativi commenti. In appendice, infine, è raccolto il materiale di supporto all'edizione (riproduzioni in facsimile, tavole) e di approfondimento storico-culturale (testimonianze coeve di canti dei flagellanti di ambito europeo).

 

 

Francesca Toriello (2007)

La Leggenda di santa Maria Egiziaca in inglese medio. Introduzione, edizione critica sinottica e traduzione.

Il nucleo del lavoro è rappresentato dall'edizione critica sinottica della Leggenda di s. Maria Egiziaca in inglese medio. L'opera agiografica è compresa nella raccolta nota con il nome di South English Legendary, tramandata in più di sessanta testimoni. Il testo in rima della vita di s. Maria Egiziaca viene indagato per la prima volta in questo studio come testo singolo e non come parte del leggendario. L'edizione vera e propria è preceduta dall'analisi delle fonti a partire dall'originale greco, passando per le traduzioni in latino e in anglosassone, fino a alle volgarizzazioni in inglese medio, con un breve accenno alla diffusione successiva della vicenda e ai manoscritti ancora esistenti. Segue un'analisi codicologica, linguistica e contenutistica dei ventitré testimoni noti della Leggenda di s. Maria Egiziaca. La scelta dell'edizione di tipo sinottico è motivata nei capitoli che descrivono l'esito della trascrizione, dell'ampia collazione e della realizzazione dello stemma codicum. Quest'ultimo è stato oggetto di una trattazione particolarmente attenta e approfondita, poiché è sulla sua struttura originariamente bipartita che si fonda la scelta di operare un'edizione sinottica. Nell'introduzione all'edizione critica sono evidenziate e motivate le scelte redazionali poste alla base dell'edizione, in particolare quelle che hanno portato alla scelta di un apparato critico di tipo negativo e all'eliminazione delle varianti puramente grafiche. Nell'edizione critica sinottica si pongono a confronto il testo contenuto nel ms. Oxford, Bodleian Library, Laud. 108, per la conflazione L e il ms. Cambridge, CCC145 per la redazione A. La quarta parte del lavoro fornisce una traduzione - la prima in lingua italiana - del testo della redazione A. L'ultima parte dell'indagine comprende in primo luogo alcune considerazioni riepilogative del vasto contenuto della ricerca, in cui si evidenziano i risultati in essa ottenuti, in secondo luogo un'appendice che consente e facilita il reperimento di dati rilevanti distribuiti nelle varie parti del lavoro.

 

 

Laura Gherardini (2006)

Edizione del testimone fiorentino del Tristano di Goffredo di Strasburgo

Oggetto della dissertazione è l'edizione del testimone manoscritto del Tristano di Goffredo di Strasburgo – poema cortese-cavalleresco in altotedesco medio – conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e databile alla prima metà del XIV secolo. Il lavoro si apre con un'attenta analisi della tradizione manoscritta e della situazione editoriale del testo, al fine di illustrare le motivazioni che hanno portato alla scelta del manoscritto di Firenze come base dell'edizione e di individuare i criteri editoriali adeguati, a loro volta accuratamente descritti. Scopo della dissertazione è quello di mettere in risalto il valore storico, culturale e linguistico del manoscritto fiorentino e di contribuire alla ricerca sui testimoni dell'opera in questione. In linea con le attuali tendenze dell'ecdotica, e con l'auspicio che si possa giungere presto a una soddisfacente edizione critica dell'opera, ne è stata realizzata un'edizione ‘semidiplomatica’, che ha permesso da una parte di mantenere inalterati determinati elementi del testo così come trasmesso nel manoscritto, dall'altra di apportarvi lievi modifiche che ne migliorassero la leggibilità. Gli interventi editoriali sono opportunamente segnalati nel capitolo introduttivo all'edizione, oltre che, naturalmente, nell'apparato critico in calce al testo. Segue un'analisi linguistica, incentrata sulla fonologia e sulle principali caratteristiche morfologiche del testimone, dalla quale emerge una commistione di dialetti bavarese e tedesco centrale. Questi due dialetti, insieme alle peculiarità paleografiche del manoscritto, permettono di identificare la Boemia meridionale come area di provenienza del testimone e quindi di verificare e puntualizzare i risultati di alcune indagini condotte da altri studiosi in questo senso. A chiusura del lavoro sono illustrati i risultati generali della ricerca, volta a delineare un quadro plausibile delle modalità con cui il testimone è giunto a Firenze.

 

 

Giuseppe Pagliarulo (2006)

Forme sintetiche e perifrasi nel verbo gotico

La dissertazione consiste in un'analisi sintattico-funzionale di alcune strutture perifrastiche verbali nella lingua gotica (il passivo ed altre perifrasi participiali; le perifrasi causative) e nella successiva individuazione delle loro limitazioni d'impiego in rapporto a procedimenti affissali di simile o identico valore semantico. A un primo inventario dei dati testuali utilizzabili e alle relative valutazioni statistiche segue un esame critico dettagliato di gran parte delle attestazioni delle forme prese in considerazione: per prime le forme sintetiche e perifrastiche del passivo, in seguito le perifrasi con participio presente e le rese gotiche del futuro greco, in ultimo le espressioni sintetiche e perifrastiche della funzione causativa. L'analisi è condotta sulla traduzione della Bibbia di Wulfila e sulla Skeireins (commento al Vangelo di Giovanni) separatamente. In sede di conclusione si sostiene l'impossibilità di ravvisare, nei testi esaminati, un'autentica recessione delle forme sintetiche a vantaggio di quelle perifrastiche per le funzioni considerate e si suggerisce un ridimensionamento della tesi tradizionale di una deriva singolarmente accentuata del germanico verso un tipo linguistico analitico.

 

 

Magda Raffa (2006)

La Lettera del Prete Gianni nella tradizione medio-inglese

Della Lettera del Prete Gianni, testo anonimo della letteratura odeporico-fantastica medievale, si conservano, oltre alla versione originale latina, traduzioni e rielaborazioni in diversi volgari europei. L'intento di questo lavoro è quello di analizzare la sua tradizione in area inglese, in cui si ritrovano due testimoni, di epoca tardomedievale e protomoderna, molto significativi soprattutto dal punto di vista linguistico. Entrambi i testimoni sono conservati a Londra, presso la British Library, dove sono catalogati rispettivamente come Royal Manuscript 17 D XX e come G 7106. Si tratta di due testi assai diversi, indipendenti l'uno dall'altro: il primo è un manoscritto incompleto, in dialetto anglo-scozzese, risalente verosimilmente alla fine del XV secolo; il secondo è un'edizione a stampa realizzata agli inizi del XVI secolo ad Anversa ed esemplata su un modello nederlandese. Le due redazioni furono pubblicate, in forma di mere trascrizioni precedute da brevi commenti, alla fine del XIX secolo; è stata perciò anzitutto approntata un'edizione critica dei due testimoni capace di evidenziare i loro tratti peculiari. Il lavoro si apre con un'introduzione storica sulla letteratura di viaggio nel medioevo e con una breve esposizione delle notizie tramandate sulla figura leggendaria del Prete Gianni, il suo regno e la sua 'lettera'. Seguono una presentazione schematica dell'intera tradizione manoscritta e delle edizioni a stampa, un'analisi dei rapporti tra le varie redazioni della Lettera e di quelli tra i due testimoni inglesi e, infine, un'indagine sui presunti modelli delle due redazioni medio-inglesi. Si è quindi proceduto al confronto critico tra l'originale latino e i due volgarizzamenti inglesi, considerando, oltre agli aspetti prettamente linguistici, anche quelli paleografici e ortografici. Alla trascrizione dei due testimoni, con riproduzioni in facsimile a fronte, è stata affiancata una traduzione italiana. L'analisi linguistica delle due redazioni ha permesso di determinare con relativa precisione le rispettive aree dialettali di provenienza. Per quanto riguarda in particolare la redazione a stampa, al fine di stabilire in che misura il testo inglese sia stato influenzato dal modello nederlandese, è stato necessario rivolgere l'attenzione anche alla tradizione nederlandese della Lettera. Il lavoro si completa con un glossario per ciascuna delle due redazioni, con rinvii incrociati (ove possibile) tra l'una e l'altra.

 

 

Chiara Benati (2005)

L'influsso del bassotedesco medio sulla fraseologia dello svedese tra Medioevo ed Età Moderna

Il contatto linguistico tra bassotedesco e lingue scandinave durante il medioevo è stato oggetto di numerosi studi, dedicati soprattutto ai diversi aspetti dell'influsso esercitato dal bassotedesco medio sulle lingue scandinave: dal lessico alla morfologia, dalla sintassi alla letteratura, dalla lingua standard ai dialetti. Scarso rilievo è stato dato, tuttavia, allo studio della fraseologia e dei possibili rapporti di dipendenza, in quest'ambito, delle lingue scandinave da modelli bassotedeschi. Questo lavoro si prefigge di colmare tale lacuna, individuando tracce di fraseologismi di origine bassotedesca nelle prime attestazioni scritte della lingua svedese, aprendo così la strada ad ulteriori indagini in questo campo. All'interno della tradizione svedese (e nordica orientale in genere) i testi giuridici sono ben rappresentati e costituiscono il materiale ideale per uno studio di questo tipo. È stato pertanto individuato un corpus di tre testi svedesi, costituito da Äldre Västgötalag, Östgötalag e Uplandslag, altamente rappresentativo delle prime attestazioni in questa lingua. Per operare un confronto omogeneo del materiale fraseologico presente in questo corpus con analogo materiale bassotedesco che possa aver funto da modello è stato scelto, fra i testi della tradizione bassotedesca, il Sachsenspiegel di Eike von Repgow. Data la vastità del concetto di 'fraseologia', si è reso necessario delimitare l'ambito di indagine ad una sola tipologia di fraseologismi: quelli verbali. Dopo una necessaria introduzione teorico-metodologica all'analisi fraseologica e la presentazione della tradizione manoscritta dei corpora oggetto del confronto, si è proceduto all'indagine sistematica del materiale fraseologico contenuto nei quattro testi. I fraseologismi verbali, suddivisi in base al campo semantico di appartenenza, sono stati schedati singolarmente, riportandone, oltre alle occorrenze nel testo, una descrizione formale in termini di funzioni lessicali (applicata per la prima volta ad una lingua antica), una valutazione semantica del grado di idiomaticità e alcune considerazioni circa la struttura sintattica interna e le valenze. Il confronto tra bassotedesco medio e svedese si sofferma, infine, sia sulle funzioni lessicali realizzate in entrambe le lingue, sia sulle funzioni lessicali realizzate soltanto in svedese ma che presentino qualche affinità con fraseologismi o vocaboli bassotedeschi, al fine di valutare, in ogni singolo caso, la possibile dipendenza dell'espressione svedese dal modello alloglotto continentale.

 

 

Marialuisa Caparrini (2005)

La letteratura culinaria in bassotedesco medio. Un'indagine linguistica e storico-culturale sulla base del ricettario di Wolfenbüttel (cod. Guelf. Helmst. 1213)

Oggetto della dissertazione è lo studio del più antico ricettario bassotedesco medio, conservato in un codice del XV secolo presso la Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel e composto di 103 ricette, ed in particolare del lessico gastronomico tardomedioevale proprio di quest'area linguistica a tutt'oggi poco indagata. Il lavoro si apre con un'introduzione di tipo storico-culturale volta a delineare i caratteri principali dell'arte culinaria medioevale e con una trattazione sullo sviluppo di una tradizione letteraria gastronomica in ambito europeo, cui segue una descrizione delle principali raccolte di ricette manoscritte di area altotedesca finora edite. La sezione centrale del lavoro, preceduta da un'ampia descrizione codicologica, paleografica, contenutistica e linguistica del testo preso in esame, è costituita dall'edizione critica, corredata di traduzione in italiano a fronte, del ricettario di Wolfenbüttel e dall'analisi lessicale. Tale indagine, condotta su una selezione di 179 lemmi suddivisi in opportune sottocategorie (aromi e spezie, ingredienti, impasti ed intingoli, denominazioni di pietanze, bevande, procedimenti culinari, dosi e tempi di cottura, stoviglie) è strutturata in modo tale da offrire per ciascuna voce analizzata la classe morfologica di appartenenza, le occorrenze nel testo, le eventuali attestazioni nelle lingue germaniche antiche e in altotedesco medio (ai fini di un confronto diretto con la coeva tradizione gastronomica altotedesca), l'etimologia, l'uso del termine all'interno della raccolta e, laddove il termine in questione non sia solo di uso strettamente culinario, le ulteriori accezioni che esso può avere in contesti diversi da quello gastronomico. Infine vengono delineate e riassunte le varie strategie di arricchimento lessicale riscontrate nel ricettario bassotedesco, al fine di creare un compiuto linguaggio di settore di carattere gastronomico (prestiti, composizione nominale, polisemia, prefissazione, sinonimia), che hanno consentito da un lato di verificare l'evidente internazionalità dell'arte culinaria – e di conseguenza anche del lessico gastronomico – nel medioevo, dall'altro di cogliere la specificità del ricettario di Wolfenbüttel rispetto ad altre raccolte di ricette coeve.

 

 

Massimiliano Bampi (2004)

La ricezione svedese dei Septem sapientes alla luce delle teorie dei Translation Studies

La dissertazione ha come oggetto l'analisi della tradizione svedese (Sju vise mästare) della silloge di racconti d'origine orientale nota come Septem sapientes e si propone di prendere in esame i diversi meccanismi di ricezione e rielaborazione della materia narrativa nel periodo compreso tra la fine del XIV e la fine del XV secolo. In particolare, poiché almeno due dei tre testimoni in volgare pervenutici (A e C) sono certamente identificabili come testi tradotti, l'attenzione principale è rivolta alla ricostruzione e all'interpretazione della strategia traduttiva che emerge dal confronto fra i testi e i rispettivi modelli – o, comunque, nel caso di A, con un testo che possiamo considerare del tutto simile al testo-fonte. Per l'analisi contrastiva proposta e la successiva valutazione dei dati si è scelto di avvalersi degli assunti teorici sviluppati nell'ambito dei cosiddetti Translation Studies che, in una prospettiva d'indagine marcatamente interdisciplinare, promuovono un approccio descrittivo alle problematiche traduttologiche. Il lavoro si compone conseguentemente di due nuclei fondamentali: da una parte la disamina della tradizione manoscritta, dall'altra l'analisi dei meccanismi traduttivi che hanno condotto alle differenze, talora assai notevoli, tra i vari anelli della tradizione e che si pongono così alla base della diffrazione del testo. Movendo dall'indagine dei punti critici della narrazione in ciascun testimone e dal confronto con quelle che finora sono state indicate come loro presunte fonti, e sulla base delle caratteristiche del contesto codicologico in cui i testi sono collocati, l'obiettivo dell'analisi è quello di porsi alla ricerca dei criteri seguiti da ciascuno dei traduttori dei testimoni in volgare svedese nel trasporre il “testo-fonte” (latino nel caso di Holm. D4 e Holm. A49, basso-tedesco nel caso del testimone AM 191 fol) nella propria lingua materna, e in particolare le cause che hanno determinato un allontanamento dal modello, attraverso espunzioni, aggiunte, sostituzioni e riformulazioni di parti di testo più o meno cospicue.

 

 

Valeria Di Clemente (2004)

Il lessico dello Innsbrucker Arzneibuch e del Prüller Kräuterbuch

Fine del lavoro è uno studio del lessico medico-botanico in testi del medioevo tedesco, sulla base di un corpus rappresentato dalla tradizione di due tra le opere più antiche nel loro genere, il ricettario medico chiamato Innsbrucker Arzneibuch e l'erbario noto come Prüller Kräuterbuch. Tale indagine ha richiesto come premessa un'ampia documentazione sia sulla letteratura medievale delle artes, sia sui concetti di Fachsprache, Fachwortschatz e Fachtext(sorte). Il lavoro inizia con un'introduzione alla letteratura medico-botanica tedesca medievale e con la presentazione dei testi dal punto di vista codicologico, paleografico e linguistico; segue l'illustrazione dei concetti e degli strumenti teorici usati nell'analisi del lessico. Nella parte centrale della trattazione, i lessemi sono inseriti in grandi raggruppamenti concettuali e in campi semantici più ristretti, quindi distribuiti in paragrafi a seconda del tipo morfologico-strutturale; ogni lessema  studiato viene introdotto dalla sezione di testo che lo riporta, con traduzione in italiano; seguono informazioni sull'etimologia, sull'eventuale presenza in altre lingue germaniche, sulle modalità di formazione della parola o unità di significato, sugli eventuali sinonimi nella stessa fase storica della lingua. Valore centrale assume l'analisi del lessema dal punto di vista dei tratti semantici ad esso attribuibili e da quello delle funzioni semantiche rappresentate nella realizzazione all'interno della frase e del testo; i lessemi costituenti predicato sono descritti anche attraverso l'analisi della valenza, vista nella sua applicazione più ampia, che comprende le selezioni restrittive. Infine, si riassumono i procedimenti di formazione ed individuazione del lessico specifico incontrati: prestiti, calchi strutturali e semantici, formazioni tecniche di tipo monosemico, terminologizzazione, monosemizzazione, incidenza contemporanea di più strategie etc.

 

 

Eleonora Cianci (2003)

Incantesimi e benedizioni nella letteratura tedesca medievale (IX-XIII sec.)

Si tratta del primo tentativo in assoluto di riunire in un'unica trattazione organica l'ampio corpus di testi di area tedesca, risalenti a un periodo compreso tra il IX e il XIII secolo, che comunemente vengono denominati “incantesimi”, “formule magiche”, “scongiuri” e “benedizioni”. Essendo l'obiettivo principale del lavoro l'individuazione di nuovi criteri di classificazione all'interno della Textsorte “rimedi verbali”, e in considerazione del fatto che nella maggior parte dei casi esistono edizioni affidabili dei testi presi in esame, l'autrice rinuncia ad effettuare una nuova edizione di questo corpus – molto eterogeneo e spesso frammentario –, scegliendo invece di presentare ogni testo in una delle edizioni esistenti. Nell'introduzione vengono discusse le varie questioni inerenti alla trasmissione manoscritta e viene avviata la discussione sulla problematica delle “categorie testuali”. Nella parte centrale del lavoro si analizzano i singoli testi, che vengono suddivisi in due gruppi principali: “rimedi verbali per curare le malattie dell'uomo e degli animali” e “rimedi verbali per prevenire disagi e rischi della vita quotidiana o difendersi da essi”. Di ogni testo viene illustrato il contenuto e il sostrato culturale. Il commento ai singoli testi si propone principalmente di chiarire le difficoltà interpretative e di documentare le scelte della traduzione italiana. Attraverso la formulazione di ipotesi circa le varie forme sotto le quali si può presentare un “rimedio verbale”, l'autrice dimostra come dal corpus analizzato si possano estrapolare una serie di tendenze, che tuttavia non possono essere intese alla stregua di rigide categorie. Completano la tesi, in forma di appendice, un'antologia di testi in latino e in tedesco, risalenti al periodo compreso tra il XIV e il XVI secolo, che mostrano delle affinità con i rimedi verbali analizzati nella parte centrale, un glossario dei termini ‘tecnici’ più ricorrenti nel corpus e una sezione contenente la riproduzione in facsimile di alcuni fra i testi più significativi, nonché un ampia ed esaustiva bibliografia.

 

 

Paolo Marelli (2002)

Sintassi e semantica dei casi nella Sächsische Weltchronik

La Sächsische Weltchronik, un fondamentale documento storico del tardo medioevo tedesco, viene qui analizzata nella versione del ms. 24. La ricchezza e la complessità della tradizione manoscritta di questo testo viene adeguatamente illustrata dall'autore distinguendo tra modalità di trasmissione testuale e vicende di rielaborazione contenutistica. Tuttavia, l'obiettivo specificamente linguistico, e non critico-testuale, dell'indagine, impone la scelta del ms. 24, che, per antichità e qualità del testo tramandato, si accredita come testimone prezioso per lo studio delle caratteristiche funzionali del primo basso-tedesco medio, una lingua germanica medievale finora poco studiata. Il lavoro è incentrato nella descrizione del sistema dei casi, effettuata attraverso un'ordinata sistemazione del materiale, identificato, caso per caso, anche nelle specifiche funzioni sintattiche e semantiche. Notevole è lo sforzo descrittivo e interpretativo che l'autore compie, mediante il ricorso ai principî della teoria di Ch. J. Fillmore sui casi profondi o della grammatica delle valenze, in vista di una più intima conoscenza del testo e di un più consapevole dominio del relativo codice linguistico. La compresenza di sistemi descrittivi diversi, che rispondono a logiche di analisi linguistica talora assai distanti, induce tuttavia l'autore a descrivere diffusamente anche i vari tipi flessionali o a ricondurre l'ordine delle parole nella frase a regole di frequenza empiriche. Infine, in considerazione della limitatezza del campione esaminato e del mancato soddisfacimento di taluni presupposti teorici (quali l'impossibilità ad acquisire la competenza di un parlante madrelingua e l'incapacità a distinguere l'obbligatorietà dei complementi), viene sottolineata la necessità di estendere la ricerca ad altre Textsorten al fine di garantire maggior compiutezza ai già notevoli risultati acquisiti.

 

 

Simonetta Mengato (2002)

Il consonantismo germanico alla luce delle nuove teorie ricostruttive dell'indeuropeo e del protogermanico

Questo lavoro rappresenta anzitutto il primo tentativo di riunire in un'unica trattazione monografica, che sia al tempo stesso una presentazione oggettiva e una disamina critica, le varie teorie ricostruttive del consonantismo indeuropeo, e in particolare del ramo germanico, elaborate da alcuni linguisti in diverse parti del mondo negli ultimi tre decenni, mettendone in evidenza le correlazioni e i possibili influssi reciproci. L'altro aspetto caratterizzante dell'opera è costituito dalla verifica del grado di applicabilità, e quindi di attendibilità, di queste teorie sulla documentazione fornita dalle lingue germaniche storicamente attestate. Un'indagine complessa, che ha reso anzitutto necessario ripercorre sinteticamente le tappe fondamentali del pensiero linguistico intorno al tema in questione, dai primi, pionieristici, tentativi di ricostruzione linguistica della scuola neogrammatica fino alle più recenti e sofisticate teorie post-strutturalistiche e generativistiche. Nel far questo, l'autrice non si limita a dei semplici richiami di tipo descrittivo, ma cerca, ogni qual volta se ne presenti l'opportunità, di porre a confronto tra di loro le diverse teorie elaborate nel corso del tempo. Nella parte centrale del lavoro, dedicata alla presentazione e alla critica delle nuove teorie ricostruttive, l'autrice, mantenendo un atteggiamento di sostanziale obiettività e di prudenza nei confronti delle diverse teorie e approcci metodologici, espone accuratamente ed esamina – mettendone equilibratamente in evidenza pregi e difetti – tesi e controtesi, prove e controprove, critiche positive e negative. Particolarmente interessante è l'ultima parte del lavoro, un'autonoma sintesi in cui vengono correlate e poste a confronto la cosiddetta "teoria del new look" di T. Gamkrelidze e V. Ivanov e la "teoria della biforcazione" di T. Vennemann relativamente ai rapporti tra indeuropeo e germanico, in cui l'autrice cerca, fra l'altro, di ricomporre alcune presunte dispute come quella tra la ricostruzione del consonantismo indeuropeo secondo il new look e secondo Vennemann. Rilevante è anche il tentativo di riscontro dell'applicabilità o meno delle nuove teorie alle attestazioni linguistiche reali, al di là degli esempi citati dagli autori stessi delle teorie.